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Si definisce ictus una sindrome clinica caratterizzata da comparsa improvvisa di un deficit neurologico focale (più raramente globale), che persiste per più di 24 ore o porta a morte ed è causato da chiusura (ictus ischemico) o rottura (ictus emorragico) di un’arteria cerebrale. Il limite di 24 ore è arbitrario e, secondo alcune definizioni, andrebbe sostituito con un dato di neuroimmagine: cioè se alla TC o alla RM è visibile un’area lesionale si pone diagnosi di ictus anche se i sintomi hanno avuto durata inferiore a 24 ore.
EPIDEMIOLOGIA
Globalmente in tutto il mondo circa 15 milioni di persone sono colpite ogni anno da ictus; tra queste 5 milioni vanno incontro a morte ed altri 5 milioni a disabilità permanente. Quindi, l’ictus rappresenta globalmente la seconda causa di morte e la terza di disabilità. Nei Paesi Europei l’incidenza di ictus varia tra 95 e 290 nuovi casi ogni 100000 abitanti all’anno ed ogni anno vi sono 650000 decessi causati da ictus. Nei Paesi sviluppati l’incidenza dell’ictus si è ridotta del 42% nelle ultime 4 decadi grazie al migliore controllo dei fattori di rischio. L’ictus ischemico rappresenta la maggior parte di tutti gli ictus (65-90%) seguito dalle emorragie intraparenchimali (10-25%) e dalle emorragie subaracnoidee (0,5-5%).
PATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO
Alla base dell’ictus ischemico vi è l’occlusione di un’arteria cerebrale, con conseguente riduzione di apporto di sangue e, quindi, di ossigeno e nutrienti al tessuto cerebrale. Questo provoca alterazioni della funzionalità delle cellule cerebrali che conducono rapidamente a necrosi la porzione di tessuto cerebrale più colpita dall’ischemia (il cosiddetto core ischemico), attorno alla quale c’è una porzione di tessuto in sofferenza ischemica ma ancora recuperabile (la cosiddetta penombra ischemica).
L’emorragia cerebrale intraparenchimale viene classicamente distinta in una forma “tipica”, la più frequente, causata da rottura dei piccoli vasi cerebrali profondi conseguente principalmente all’ipertensione arteriosa, ed una forma atipica, spesso secondaria a malformazioni vascolari intracerebrali o a patologie quali l’amiloidosi cerebrale.
L’emorragia subaracnoidea è di norma causata dalla rottura di un aneurisma cerebrale, vale a dire una dilatazione sacciforme della parete malata di un vaso cerebrale.
L’ictus ischemico viene classificato in base alle cause in: cardioembolico, quando il trombo occludente proviene dalle cavità cardiache; aterosclerotico se causato dalla rottura di una placca aterosclerotica delle arterie del collo; lacunare, dovuto ad una patologia dei piccoli vasi cerebrali; da altre cause come dissezione arteriosa, vasculiti, anomalie genetiche ed altre; criptogenetico, ovvero da causa non determinata.
I fattori di rischio per ictus vengono distinti in non modificabili e modificabili.
I fattori di rischio non modificabili comprendono l’età (l’incidenza dell’ictus raddoppia per ogni decade di età dopo i 55 anni), il sesso (l’ictus è più frequente nel sesso maschile fino alla sesta-settima decade di vita, poi aumenta l’incidenza nel sesso femminile anche a causa della maggiore longevità), l’etnia (gli afroamericani e gli ispanici hanno un rischio tra 2 e 4 volte più alto di ictus), i fattori genetici (alcune varianti di specifici loci genici sono state riconosciute come correlate ad aumentato rischio di ictus).
Una storia familiare positiva aumenta globalmente il rischio di ictus di circa il 30%, con maggiore rilevanza nel sesso femminile e nel caso di insorgenza in età inferiore ai 65 anni.
L’identificazione dei fattori di rischio modificabili è di vitale importanza per attuare le misure di prevenzione primaria e secondaria dell’ictus, attraverso interventi farmacologici e modifiche dello stile di vita.
L’ipertensione arteriosa rappresenta il più importante fattore di rischio modificabile per ictus: all’aumento dei valori medi di pressione arteriosa corrisponde un aumento lineare del rischio di ictus. La riduzione della pressione arteriosa sistemica, sia per mezzo di agenti farmacologici che con modifiche allo stile di vita, ha dimostrato di ridurre il rischio di ictus nei pazienti ipertesi.
Il Diabete raddoppia il rischio di eventi cerebrovascolari acuti, con particolare effetto nei pazienti giovani. La correzione farmacologica e con la dieta dei livelli glicemici ha dimostrato di ridurre il rischio di ictus nei pazienti diabetici.
La fibrillazione atriale e la cardiopatia atriale sono importanti fattori di rischio per l’insorgenza di ictus ischemico. Secondo la teoria più classica, la fibrillazione atriale provocherebbe la stasi del sangue nelle camere cardiache, favorendo la formazione di trombi responsabili del cardioembolismo cerebrale e dunque dell’ictus. Tuttavia, più di recente è stato messo in evidenza come non sia propriamente la fibrillazione atriale ma più probabilmente la cardiomiopatia atriale, dunque una condizione strutturale delle pareti cardiache, a provocare il cardioembolismo. Ad ogni modo, in pazienti fibrillanti la prevenzione primaria e secondaria con terapia anticoagulante si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di ictus ischemico.
Il rischio di ictus ischemico ed in particolare id sottotipo aterotrombotico aumenta con livelli elevati di colesterolo e diminuisce all’aumentare del colesterolo HDL. Il trattamento farmacologico ipocolesterolomizzante con statine o con i farmaci anti-PCSK9, riduce il rischio di ictus ischemico senza aumentare il tasso di emorragie cerebrali.
L’inattività fisica correla con diversi effetti negativi sulla salute, incluso un aumentato rischio di ictus. I soggetti che praticano regolarmente l’attività fisica hanno un ridotto rischio di sviluppare patologie cerebrovascolari, probabilmente anche grazie alla riduzione dei valori di pressione arteriosa ed al miglior controllo del diabete.
Per quanto concerne la dieta, è noto che un aumentato importo di sale aumenta il rischio di ictus attraverso l’effetto sui valori di pressione arteriosa. Inoltre la dieta mediterranea, così come una dieta ricca in frutta e vegetali hanno un effetto protettivo.
L’assunzione di alcol ha un effetto diverso a seconda del tipo di ictus. Per quanto concerne la forma ischemica, una moderata assunzione di alcol ha dimostrato un effetto protettivo mentre l’assunzione di elevate quantità di alcol ne aumenta il rischio. Invece, il rischio di ictus emorragico aumenta con l’assunzione di qualsiasi quantità di alcol.
Il fumo di sigarette raddoppia il rischio di insorgenza di ictus con un rapporto lineare tra la quantità di sigarette consumate per giorno e la frequenza di eventi cerebrovascolari acuti. Smettere di fumare riduce il rischio di ictus, eliminando l’effetto negativo del tabacco dopo un periodo di 2-4 anni.
L’abuso di sostanze illegali, quali eroina, cocaina, amfetamine, ecstasy è in relazione con un aumento del rischio di entrambi i tipi di ictus.
È stata studiata la relazione tra i livelli di infiammazione sistemica e alcuni marker ematici come la proteina C reattiva ed il rischio di ictus, tuttavia non è chiaro in che modo l’infiammazione provocherebbe l’insorgenza di eventi cerebrovascolari acuti, se attraverso l’effetto sulla formazione/instabilizzazione di placche aterosclerotiche o tramite un effetto diretto procoagulante. Ad ogni modo, è noto che l’ictus sia ischemico che emorragico può rappresentare la complicanza di alcune patologie infettive quali endocarditi e l’infezione da HIV.
SINTOMI
L’ictus si può manifestare con vari segni e sintomi. Le caratteristiche cliniche che permettono la diagnosi clinica di ictus sono: inizio improvviso, perdita di una funzione focale, sintomi e segni che raggiungono il massimo livello entro pochi secondi o minuti e persistono per più di 24 ore.
L’ictus ischemico provoca una diversa sintomatologia a seconda del territorio vascolare e dunque della porzione di encefalo interessata; i sintomi più frequenti sono deficit motori agli arti controlaterali alla lesione, deviazioni della rima orale, disturbi del linguaggio, disturbi della vista, di sensibilità e dell’equilibrio. L’ictus emorragico oltre ai diversi segni neurologici focali si può manifestare anche con cefalea ad insorgenza acuta, particolarmente intensa nel caso dell’emorragia subaracnoidea ed in quest’ultimo caso associata a rigidità nucale. Frequentemente, i sintomi dell’ictus si associano a caduta a terra del paziente e nei casi più gravi a perdita di coscienza. L’ictus rappresenta anche un’importante causa di declino cognitivo e depressione.
Distinguiamo infine un’altra sindrome definita attacco ischemico transitorio (Transient Ischemic Attack - TIA), caratterizzata dall’insorgenza di sintomi neurologici della durata di meno di 24 ore e senza presenza di infarto cerebrale. I TIA rappresentano quindi la manifestazione di una sofferenza ischemica dell’encefalo senza lo sviluppo di un vero e proprio infarto e comportano un rischio elevato di sviluppare un ictus ischemico nelle settimane e mesi successivi.
TRATTAMENTO
Il trattamento dell’ictus va distinto nelle terapie della fase acuta ed in quelle di prevenzione primaria, cioè nei soggetti che non hanno sofferto di eventi cerebrovascolari e secondaria, mirata a prevenire un nuovo episodio nei pazienti affetti da ictus.
Oltre ai trattamenti specifici per l’ictus ischemico può essere necessario mettere in atto terapie generali di supporto. Queste includono: somministrazione di ossigeno nel paziente ipossico, ventilazione assistita in caso di alterazione di coscienza o compromissione bulbare, correzione di iper/ipotensione, correzione dell’ipoglicemia e trattamento dell’iperpiressia.
È stato dimostrato che il ricovero in fase acuta in reparti altamente specializzati denominati Unità Neurovascolari (Stroke Unit) migliora la prognosi dei pazienti e permette un migliore inquadramento diagnostico e l’attuazione di appropriate misure di prevenzione secondaria, senza prolungare i tempi di ospedalizzazione. Sin dalla fase di ricovero è estremamente importante iniziare precoci trattamenti di riabilitazione neuromotoria e cognitiva.
Le due opzioni di trattamento specifico per l’ictus ischemico acuto sono la trombolisi intravenosa e la trombectomia meccanica. Per entrambi gli approcci, di vitale importanza è il fattore temporale, attualmente inteso non più come un astratto tempo medio di sopravvivenza della penombra ischemica, ma come un tempo individuale definibile grazie all’identificazione di fattori maggiormente legati al paziente come la presenza e la qualità dei circoli collaterali, che consentono un tempo di azione più o meno lungo. In ogni caso, il riconoscimento precoce dei sintomi ed il trasporto immediato in un centro dove si possano attuare le terapie di ricanalizzazione, sono di importanza strategica.
Attualmente in pazienti con ictus ischemico si raccomanda la somministrazione di agenti trombolitici entro 4,5 ore dall’esordio dei sintomi. Il trattamento è altresì raccomandato in pazienti con ictus a insorgenza non nota, qualora la RM in diffusione (Diffusion weigthed - DW) e FLAIR (Fluid Attenuation Inversion Recovery) consentano di datare l’esordio evento almeno entro le 4 ore. È fondamentale iniziare la terapia al più presto, poiché quanto più questa è precoce tanto maggiore sarà il beneficio.
Altra terapia standard dell’ictus ischemico è il trattamento di ricanalizzazione per via endovascolare, vale a dire la rimozione meccanica del trombo occludente dalle arterie cerebrali. La trombectomia meccanica si è dimostrata efficace nel migliorare la prognosi dei pazienti con ictus ischemico da occlusione dei grossi vasi cerebrali entro le 6 ore dall’esordio dei sintomi, in particolare quando associata al trattamento trombolitico endovenoso. Inoltre, studi più recenti hanno evidenziato l’efficacia dei trattamenti meccanici oltre le 6 ore e fino a 24 ore dal teorico esordio dei sintomi (pazienti con ictus al risveglio o esordito in assenza di testimoni, nei quali il teorico esordio dei sintomi viene posto all’ora nella quale il paziente è stato visto/sentito in buona salute per l’ultima volta), in presenza di precisi criteri di selezione definiti con TC di perfusione o con RM DW e PW (Perfusion weighted).
Per quanto concerne la forma emorragica, il trattamento in acuto differisce a seconda della causa dello spandimento emorragico. Anche se con finestre terapeutiche più ampie, anche nell’ictus emorragico è vitale agire il più precocemente possibile.
Per le emorragie dette tipiche, dovute all’ipertensione arteriosa, è necessario attuare trattamenti farmacologici aggressivi mirati a ridurre i valori di pressione arteriosa sistolica al di sotto dei 140 mmHg entro le prime ore dall’esordio dei sintomi. Inoltre possono essere utilizzati farmaci antiedemigeni per ridurre la pressione intracranica e l’effetto compressivo dell’ematoma sul tessuto cerebrale sano. In specifici casi, si pone un’indicazione neurochirurgica per l’evacuazione dell’ematoma cerebrale, al fine di ridurre la pressione intracranica e salvaguardare il tessuto cerebrale.
Nel caso di emorragie conseguenti alla rottura di lesioni vascolari quali aneursmi o malformazioni arterovenose cerebrali, si interviene per via chirurgica o endovascolare, così da ridurre il rischio di risanguinamento, che è particolarmente elevato nelle prime ore dall’esordio dei sintomi, per cui tali interventi dovrebbero essere effettuati non più tardi di 48 ore dall’evento emorragico.
Durante l’ospedalizzazione è necessario uno stretto monitoraggio clinico e strumentale dei pazienti al fine di riconoscere e trattare le possibili complicanze della patologia emorragica, quali vasospasmo, iposodiemia ed idrocefalo, con un rischio particolarmente elevato nelle prime due settimane dall’evento acuto.
I trattamenti di prevenzione consistono in prima istanza nel trattamento dei fattori di rischio modificabili, tramite cambiamenti nello stile di vita ed eventuali terapie farmacologiche.
Nel caso dell’ictus ischemico è necessario anche introdurre terapie antitrombotiche che differiscono a seconda del sottotipo eziopatogenetico: terapia antiaggregante con acido acetilsalicilico o clopidogrel nell’ictus aterotrombotico; terapia anticoagulante orale con i farmaci anti vitamina K o con gli anticoagulanti diretti nell’ictus cardioembolico. Prima di iniziare la suddetta terapia è necessario valutare il rischio emorragico e se questo sia superiore a quello ischemico.
Pazienti con ictus aterotrombotico e placche stenosanti il lume carotideo per il 50% o oltre (stenosi definita in base al rapporto fra diametro del vaso a livello della stenosi e diametro a valle dell’area stenotica) vanno trattati con intervento di endarteriectomia o con apposizione di stent.
Tutti i pazienti che hanno sofferto di un evento cerebrovascolare acuto necessitano di uno stretto follow up, clinico e strumentale, sia neurologico che cadiovascolare ed internistico.
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