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Schede di patologia

SLA

Le malattie del motoneurone sono una famiglia eterogenea di patologie che interessano i neuroni motori: ad esse appartengono la SLA con le sue varianti, la SMA (atrofia muscolare  spinale), la malattia di Kennedy, la Sindrome Post-Polio ed numerose altre forme.

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è la più frequente delle malattie del motoneurone, nota anche come malattia di Charcot (che per primo la descrisse nel 1869, 150 anni fa) o malattia di Lou Gehrig (legenda del baseball americano che si ammalò nel 1939); essa è una malattia neurodegenerativa progressiva, che colpisce i motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale, del tronco encefalico e della corteccia motoria. L’esordio avviene di solito fra i 65 e 75 anni di età ed è spesso subdolo. Il deficit motorio all’esordio può manifestarsi agli arti superiori, agli arti inferiori, a livello dei muscoli a innervazione bulbare o a livello della muscolatura respiratoria.

Essa colpisce circa 3 casi ogni 100.000 abitanti/anno ed ha una prevalenza di circa 10 casi su 100.000 abitanti, inserendola per definizione dell’OMS una malattia rara (pertanto in Italia contiamo circa 5000-6000 malati). Ancora oggi, seppur molto meno, il sesso maschile ha un’incidenza maggiore di quello femminile. Molti fattori di rischio ambientali sono stati studiati in associazione alla malattia: il fumo di sigaretta sembra essere, insieme all’attività fisica intensa (sportiva o lavorativa) ed ai traumi generali, il fattore di rischio statisticamente più rilevante.

Le cause della malattia sono ancora sconosciute. Negli ultimi anni è stato riconosciuto un ruolo sempre più importante alla genetica, come possibile fattore causale o predisponente della malattia. La SLA è infatti per lo più considerata una patologia sporadica (85-90% dei casi), sebbene esistano forme familiari (10-15% dei casi). Si conoscono ad oggi quattro geni maggiori coinvolti (SOD1, TARDBP, FUS, c9orf72) e numerosi geni minori (ALS2, SETX, VAPB, FIG4, ERBB4, MATR3, ANG, OPTN, VCP, UBQLN2, CHMP2B, PFN1, hNRPA1 A2/B1, TUBA4A, NEK1, SQSTM1). Le mutazioni identificate sono responsabili di circa il 60% dei casi familiari e circa il 12% dei casi sporadici.

Recentemente, grazie allo studio dei dati derivanti dai registri di popolazione, sono stati definiti diversi fenotipi di malattia, dalla SLA classica, alla forma bulbare pura, alla sclerosi laterale primaria (PLS o malattia del I motoneurone), alla atrofia muscolare progressiva (PMA o malattia del II motoneurone), alla forma denominata ‘flail arm syndrome’ (sindrome dell’uomo nel barile) alla ‘flail leg syndrome’ (sindorme delle gambe flccide), alla SLA monomelica.

Sempre nelle ultime due decadi è emerso il ruolo dei deficit cognitivi, che sono presenti, in ogni loro aspetto, fino al 50% dei casi; dalla demenza fronto-temporale classica (10-15% dei casi) alle sindromi disesecutive e alle forme comportamentali, ponendo l’attenzione su un concetto nuovo, quello dello ‘spettro di malattia’, in un continuum tra forme motorie pure a forme cognitive pure.

L’aspettativa di vita dall’esordio dei sintomi è mediamente di 3-5 anni, ma il decorso della malattia varia da paziente a paziente.

Data la notevole eterogeneità di questa patologia, la diagnosi risulta complessa ed è tuttora da considerarsi clinica, sebbene ci siano alcuni importanti contributi dalla neurofisiologia, dalle tecniche di neuroimaging (tecniche avanzate di risonanza magnetica nucleare o delle utilizzo della PET cerebrale).

Inoltre non esistono terapie farmacologiche in grado di arrestare il suo decorso. Ad oggi, l’unico farmaco approvato per la SLA, con efficacia dimostrata in diversi studi controllati, è il riluzolo, capace di rallentare il decorso della malattia di alcuni mesi riducendo l’azione eccitotossica del glutammato. In Italia è autorizzato (non approvato) un altro farmaco, l’edaravone endovenoso, che ha mostrato alcuni risultati sul rallentamento di perdita di funzione.

Tuttavia, grazie al supporto di ausili tecnologici, alla maggiore consapevolezza dei bisogni dei pazienti e al sorgere di centri clinici specializzati, nel corso degli anni la qualità di vita dei malati è decisamente migliorata. Importante ruolo in questo lo svolgono le tecniche di nutrizione enterale supplementare via Peg o RIG, e le tecniche di ventilazione meccanica non-invasiva o invasiva.

I fattori prognostici positivi sono l’età giovanile, il ritardo diagnostico (più è rapida la diagnosi, peggiore è la prognosi), alcune mutazioni genetiche, l’essere seguiti da centri specializzati (fattore che migliora la prognosi), la presenza di deficit cognitivi ( fattore che riduce l’aspettativa di vita).

Il modello utilizzato dai suddetti ‘Centri SLA’ è quello delle cure simultanee, che si basano sulla interdisciplinarietà della presa in carico dei pazienti, in maniera che tutte le figure professionali coinvolte nel ‘team’ lavorino di concerto e pongano al centro dell’intervento terapeutico il malato e la sua famiglia.

La SLA è un ‘paradigma’ nell’ambito delle malattie neurodegenerative, poiché è a causa sconosciuta, ha carattere rapidamente progressivo, causa una graduale perdita dell’autonomia e riduce l’aspettativa di vita: pertanto per l’individuo affetto dalla patologia si pongono numerosi dilemmi etici, in particolare riguardanti le misure di sostentamento vitale.

In questo senso, i malati di SLA, le loro famiglie e i neurologi curanti, si trovano di fronte ad affrontare il tema delle ‘scelte’: da sempre il paziente affetto da questa malattia viene posto di fronte all’espressione delle ‘volontà’ o DAT (disposizioni anticipate di trattamento; oggi, dopo l’entrata in vigore della legge 219, gli strumenti di legislativi sono nettamente migliorati.

Nonostante la mancanza di nozioni sulle esatte cause di malattia, la ricerca ha attualmente grande impulso: gli studi sulla genetica stanno rivelando un numero sempre più importante di geni associati alla SLA; grande impulso hanno recentemente i progetti volti all’identificazione dei marcatori diagnostici e prognostici, dagli ‘staging systems’ ai marcatori sierici e liquorali come i neurofilamenti, o le tecniche di neuroimaging.

Accanto a tali filoni di ricerca, sono attivi numerosi ‘trials’ terapeutici (sperimentazioni), con farmaci, tecniche innovative e d approcci di terapie cellulari: in questo campo molti membri del Gruppo di Studio della SIN sono promotori o partecipanti attivi.


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